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Marco Pennisi: la Red Records di oggi

Marco Pennisi: la Red Records di oggi

Courtesy Curti Parini

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La foto riportata qui sopra, scattata da Curti Parini, è emblematica perché rappresenta il passato e il presente della Red Records, storica casa discografica milanese che dal 2021 ha ripreso quota, incrementando le sue mirate edizioni. Da sinistra possiamo distinguere Tommaso Belletti (digitale e promozione), Cem Cansu (store manager), l'attuale produttore e responsabile Marco Pennisi, Sergio Veschi, fondatore dell'etichetta, Mauro Santoro (cura editoriale), Margherita Pennisi (partner, digital marketing e e-commerce). La Red—in esteso Registrazioni Edizioni Discografiche—nasce nel capoluogo lombardo nel 1976 su iniziativa di Sergio Veschi, con l'aiuto di Alberto Alberti, noto soprattutto come manager, ma anche come direttore artistico dell'indimenticabile Bologna Jazz Festival assieme a Cicci Foresti e in seguito di Umbria Jazz al fianco di Carlo Pagnotta.

Nei suoi quarantacinque anni di conduzione Veschi crea un'etichetta autenticamente indipendente, esordendo con la pubblicazione di Quest, inciso da una formazione che alla metà degli anni Settanta è sulla cresta dell'onda: il trio del polistrumentista afroamericano Sam Rivers, con Dave Holland e Barry Altschul. L'album rimane a tutt'oggi il più venduto di tutto lo sterminato catalogo dell'etichetta, che nei decenni seguenti accoglie e promuove protagonisti americani di varie generazioni, notorietà e correnti. Fra i tanti basti citare Chet Baker, Woody Shaw, Phil Woods, Dave Liebman, Billy Higgins, Cedar Walton, David Murray, Anthony Davis, Kenny Barron, Bobby Watson, Steve Lacy, Paul Bley... Nel contempo viene posta l'attenzione verso gli esponenti, più o meno giovani, della vitale ed eterogenea scena italiana: in primis il geniale Massimo Urbani, il già affermato Franco D'Andrea, l'anticonvenzionale Mario Schiano, ma anche Tino Tracanna, Piero Bassini, Giovanni Tommaso, Flavio Boltro, Salvatore Bonafede, Roberto Ottaviano, Maurizio Giammarco...

Il passaggio di proprietà dell'azienda nelle mani di Marco Pennisi, avvenuto ormai da un lustro, comporta un tangibile rinnovamento nell'impostazione dell'etichetta, pur rimanendo nel solco di una continuità estetica. Nell'intervista che segue con l'attuale titolare cerchiamo di ricostruire i contenuti fondamentali della filosofia della Red, ma anche gli obiettivi, i criteri e le difficoltà dell'attuale gestione. Si passa poi ad analizzare le caratteristiche delle recenti edizioni, non solo discografiche, fino ad arrivare a qualche anticipazione sulle produzioni del prossimo futuro.

All About Jazz: Mi sembra doveroso iniziare questa conversazione partendo da Sergio Veschi, il fondatore della Red Records. Come puoi sintetizzare il suo carattere, le sue idee, il suo modo di operare? Quando hai cominciato a collaborare con lui? Che influenza ha esercitato su di te?

Marco Pennisi: Con Veschi ci conosciamo da quarant'anni tondi. Ho iniziato a occuparmi della grafica della Red in quegli anni e quasi da subito il rapporto è diventato di grande e reciproca amicizia, cosa che dura tutt'ora. "Rudeveschi," tutto attaccato, è come l'ho chiamato per lungo tempo, ma il carattere spigoloso, apparentemente aggressivo e sicuramente non facile, nasconde lati di grande generosità e attenzione. Lui ha sempre espresso senza filtri la sua opinione su musica, musicisti, operatori, critica giornalistica in maniera "abrasiva." Questo essere "contro," da un lato, ha dato un contributo al vivace confronto sul jazz di quel periodo; dall'altro, ha fatto di lui una voce controcorrente e non allineata, con tutte le controindicazioni e i "costi" che è facile intuire. Ha tenuto solidamente le redini della Red, e non esisteva spazio per suggerimenti. Il solo modo era forzare: in un paio d'occasioni in cui non era convinto, ma il progetto meritava, bastava che gli dicessi "senti, questo lo produco io" per fargli rivedere la propria posizione e anche a rimettermi all'angolo. Avevo venticinque anni quando ho iniziato a frequentarlo e lui aveva già costruito un bel pezzo della storia del jazz in Italia, oltre a una solida reputazione nel mondo, come del resto aveva fatto anche Giovanni Bonandrini.

AAJ: Come e quando si è verificato il passaggio fra la Red "storica" e la "nuova" Red, di cui oggi sei il proprietario e produttore? Quali problemi hai dovuto affrontare?

MP: Qualcosa di simile a "tutto questo un giorno sarà tuo" era nell'aria da tanti anni. Ma—lunga vita a Sergio—non aveva molto senso aspettare di riceverla in eredità. Non senza scontri: erano molte le etichette europee interessate all'acquisto. Comunque, dopo un lasso di tempo necessario al distacco, siamo andati dal notaio nel 2019. Non c'è nessuna nuova Red, c'è solo la Red; mi muovo in continuità (spero) senza strappi. Propongo nomi in coerenza con il catalogo storico e che ben figurano a fianco di altri grandi personaggi dell'etichetta: Chet Baker, Hank Jones, Art Pepper, Gato Barbieri etc.

Problemi? Tanti. Sono passato dallo stato di acquirente di dischi, consumatore di jazz (vinilista) a produttore. Significa far corsi accelerati di negoziazione, scelta dei fornitori, rapporti con i media, posizionamento del prodotto, cercare di capire e inserirsi in un mercato imploso, creare di nuovo una rete di distribuzione, curare l'aspetto audio del prodotto e i contenuti editoriali, la confezione... insomma costruire un mondo di relazioni con tutti gli addetti del nostro settore. Inciampare, ogni tanto sbagliare, e fare i conti con la realtà.

AAJ: Quali innovazioni hai pensato di introdurre per qualificare sempre più le edizioni della Red?

MP: La valorizzazione del catalogo va intesa come "massima cura possibile" per far suonare al meglio i master analogici. Ripartendo da zero, e non dai missaggi storici. Poi, significa attenzione al prodotto, alla ricerca iconografica, alle note di copertina—anche in inglese—, alla tiratura limitata. Questo per quanto riguarda il prodotto. Sulla scelta editoriale e artistica trovo corretto, almeno in una prima fase, rimanere nel solco del repertorio, con più frequenti "deviazioni" da qui in avanti.

AAJ: Chi sono i tuoi collaboratori più stretti?

MP: Imprescindibile Rinaldo Donati (ingegnere del suono), che con Fabrizio Fini si prende cura del suono della Red; inoltre un nutrito gruppo di collaboratori dello studio (professionisti appassionati), che sono andati a coprire con competenza le varie aree di lavoro. Cem Cansu è il nostro store manager, Tommaso Belletti responsabile del digitale e di tutti gli aspetti legati alla promozione, Margherita Pennisi marketing digitale e-commerce e molto altro, Mauro Santoro, che sarebbe riduttivo definirlo grafico, si occupa della cura esecutiva dei prodotti.

AAJ: Le nuove edizioni discografiche riguardano spesso inediti storici, da Johnny Dyani a Massimo Urbani, da Chet a Gato, da Art Pepper al disco a lui dedicato da parte di Gaspare Pasini, sorretto da ottimi partner americani. Trovo che questi opportuni recuperi, oltre ad essere documenti importanti, a volte riservino sorprese emozionanti.

MP: Il filone delle registrazioni storiche proseguirà, anche se il processo di identificazione degli aventi diritto è lungo in maniera estenuante e spesso infruttuoso. Una percentuale di titoli cade per motivazioni di carattere strettamente economico; altri restano in stand-by a lungo prima di concretizzarsi.

AAJ: Oltre a queste operazioni di recupero hai pubblicato anche progetti nuovi, registrati di recente, come per esempio il pregevole Nexus Plays Dolphy.

MP: Concordo, bellissimo disco, di cui sono molto contento. Nel tardo pomeriggio in cui si registrava, Achille Succi mi fa: "Ma come, un produttore che non dice mezza parola?!." Non intervengo mai nel mezzo "del fare," semmai si parla prima. Poco volte, dopo. E con Tiziano Tononi che mi ha proposto il progetto, avevamo parlato davvero a lungo. Tutto stava funzionando bene, senza sbavature. Soffro (in silenzio) quando mi dicono come fare il mio lavoro e loro stavano eseguendo egregiamente il loro.

AAJ: Quasi sempre la veste grafica delle copertine e dell'involucro, di cui tu sei l'artefice, si rifà evidentemente al modello Blue Note del secolo passato. Qual è il significato dell'aver ricercato questa analogia?

MP: Se parliamo di vinile esistono codici visivi specifici del jazz, storicizzati. Se pensi alle font, tutte le famiglie di bastoni condensati (sans serif condensed o compressed) sono portatori del DNA jazz. Direi senz'altro Blue Note, ma anche Impulse@, Capitol, Verve, Prestige ne hanno fatto ampio e costante uso. Sul modo di mettere le foto in pagina (decentrate, sospese, con tagli non convenzionali) Reid Miles rappresenta un riferimento (direi per qualunque grafico, non solo di jazz), come anche il valorizzare i vuoti, lo spazio. Altro codice o consuetudine strettamente legata al jazz sono le bi-tinte (le immagini nero su colore) di cui facciamo largo uso, noi come quasi tutte le etichette storiche; oltre quelle citate sopra aggiungerei Atlantic, e Riverside. Ritengo importante che anche ad un'occhiata distratta i nostri dischi dicano "ehi sono jazz" non pop, rock o altro.

AAJ: Quali sono i canali di distribuzione e vendita dei dischi in Italia e all'estero e qual è il rapporto fra LP e CD di uno stesso prodotto, editi e/o venduti?

MP: Di tutte le novità o delle ristampe arricchite di brani inediti o rimasterizzate, usciamo sempre nel doppio formato CD e vinile. Attualmente siamo distribuiti in undici paesi nel mondo e sorprendentemente il CD—da me erroneamente sottovalutato—non solo resiste ma in alcuni paesi sorprende. La media a livello internazionale è 45% CD e 55% vinili; in alcuni paesi la percentuale si inverte.

AAJ: Quali dischi dell'intero catalogo Red risultano i campioni di vendite? Quali i long sellers?

MP: Chet Baker, Joe Henderson, Art Pepper. Per i long sellers ai tre sopra citati si aggiungono Bobby Watson, Cedar Walton, Massimo Urbani. Il digitale fa gara a sé e Cedar Walton vince con largo distacco.

AAJ: Quali piazze del mercato estero sono le più interessate alle vostre edizioni discografiche?

MP: Inghilterra, Spagna, Francia, Portogallo, Olanda, Stati Uniti. Non in ordine di fatturato.

AAJ: Un'altra iniziativa che hai inaugurato è la collana Sounding Pictures, che dal 2022 pubblica a tiratura ridotta libri con scatti di importanti fotografi italiani. Ci puoi parlare degli obiettivi e dei criteri di questo progetto?

MP: I vinili sono tutti in confezione gatefold e, una volta aperti, ospitano un'immagine di 64 cm. Ho pensato che sarebbe stato interessante produrre dei volumi fotografici dello stesso formato del vinile, di sole immagini e didascalie, senza testo. L'obiettivo è quello di testimoniare il lavoro dei fotografi italiani con volumi monografici sul jazz. Le raccolte sono molto diversificate vuoi dall'intenzione del fotografo e dal suo approccio, da ciò che cercava di fissare -chi il gesto, chi l'ambiente, chi l'aderenza con la musica, chi l'inaspettato, la foto rubata, la semplice testimonianza, gli scatti in studio o sul palco -che dal periodo storico e di conseguenza degli interpreti ritratti. Finora sono usciti i lavori di Mirko Boscolo, Elena Carminati, Carlo Verri, Roberto Polillo; per ultimo Riccardo Schwamenthal. Gli stessi volumi diventano il catalogo di mostre fotografiche: Verri a Padova e Novara per i rispettivi festival, Polillo a Padova e a Casale Monferrato, Carminati sempre a PadovaJazz.

AAJ: Hai in progetto di continuare con questa iniziativa editoriale? Che autori prevedi per il futuro?

MP: Certo, l'intenzione è di proseguire; in primavera è previsto il volume di Paola Bensi e poco dopo quello di Luigi Zanon. Il lavoro di ricerca e selezione, spesso spalla a spalla con i fotografi, è impagabile e gratificante; le immagini comunque mai ordinarie. Non censuro duplicati di artisti, anzi spesso li cerco: Art Blakey ritratto da mani diverse, in età differenti della sua vita e in situazioni varie (ritratti, nell'atto di suonare, in compagnia o nel backstage) sono un arricchimento. Chi ha fotografato negli anni Sessanta ci testimonia di Monk, Coltrane, Ellington; chi girava per festival negli anni Settanta-Ottanta ritraeva Davis, Henderson, Shorter e via dicendo; Zanon che amava il jazz d'avanguardia, documenta tutt'altri musicisti.

AAJ: Ci puoi anticipare ora alcune delle edizioni che hai in cantiere per il prossimo 2025, per quanto riguarda i dischi?

MP: Usciranno tra gli altri un Gerry Mulligan inedito, in quartetto, dal titolo Nocturne, e il volume due di The Standards Lost and Found di Gato Barbieri con D'Andrea, Tommaso e Pignatelli. Sono molto, molto soddisfatto di Maiden Voyage di Hakan Başar—sorprendente pianista turco di diciannove anni, accompagnato da Michelangelo Scandroglio e Bernardo Guerra—che è stato registrato in studio a Milano in ottobre. Cito ancora Voo, terzo lavoro di Mani Padme Trio, e la piacevole sorpresa di Tommaso Perazzo e Marcello Cardillo in trio con Buster Williams, mentre Doors è un disco di Michele Polga in quartetto con Alessandro Lanzoni, Gabriele Evangelista e Bernardo Guerra. Nel 2025 sono previsti anche un paio di esordi discografici assoluti, ma in assenza della firma del contratto, non ha senso parlarne. Inoltre sicuramente qualche ristampa dal catalogo, sempre nei due formati.

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